IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 10470/2005 R.G. tra dott. D'Anna Maria Luisa rappresentata e difesa dall'avv. prof. Settimio di Salvo presso cui e' elettivamente domiciliata in Napoli, alla via Duomo n. 296, attrice, e M.P.S. Banca Personale S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dal prof. avv. Francesco Carbonetti, dagli avv. Roberto Della Vecchia e dall'avv. Raffaello Iorio presso il qual ultimo e' elettivamente domiciliata in Napoli, alla Calata S. Marco n. 13, convenuta. Premesso in fatto Con citazione ritualmente notificata la dott. D'Anna Maria Luisa, premesso che a fine luglio del 2001, dopo mesi di «pressioni» da parte di Pierluigi Marrazzo, promotore finanziario della Banca 121, si era decisa a sottoscrivere dodici contratti mediante i quali aveva aderito al piano finanziario denominato «4 You» e che, nello stipulare i contratti suddetti, era stata convinta di acquistare prodotti finanziari attraverso un pagamento dilazionato degli stessi, come, d'altro canto, le era stato descritto dal Marrazzo - che aveva chiarito che si trattava di un investimento con un'ottima remunerazione e comunque da poter dismettere in qualsiasi momento a fronte di leggerissime penalita' - esponeva che dopo un anno circa, sorpresa del pessimo andamento del piano finanziario, si era rivolta al Marrazzo, al quale aveva manifestato la sua volonta' di recedere immediatamente dai contratti de quibus e che solo allora aveva appreso che il finanziamento previsto al punto 1) delle premesse contrattuali era strutturato come un vero e proprio mutuo per sciogliersi dal quale andavano pagate interamente le rate future e comprensive di interessi da attualizzare al tasso IRS. Aggiungeva l'attrice di aver formulato un reclamo per iscritto alla Banca 121 ed al Monte dei Paschi di Siena, che frattanto aveva acquisito la prima, e di aver interrotto il pagamento delle rate di mutuo, ritenendo il contratto nullo o comunque annullabile. Deduceva che i contratti dalla stessa stipulati rappresentavano un'operazione economica che poteva cosi' sintetizzarsi: con l'erogazione di mutui di scopo trentennali, ciascuno per lire 89.824.300 al tasso del 7 per cento, la Banca acquista per conto del cliente una quota di un fondo comune d'investimento mobiliare appartenente al «Sistema Spazio» e gestito da Spazio Finanza SGR S.p.A. e dei titoli denominati «Republic of Italy» emessi dalla stessa Banca; tali strumenti finanziari vengono pero' contestualmente costituiti in pegno a favore della Banca 121 a garanzia della restituzione delle somme mutuate. Esponeva l'attrice che, nonostante all'art. 5 della sezione IV del contratto (accusa di ricezione da parte del cliente) aveva attestato di aver ricevuto «un esemplare del contratto comprensivo degli allegati debitamente sottoscritto per accettazione», non aveva mai ricevuto gli allegati de quibus e che aveva in suo possesso copie parziali dei contratti stessi, con conseguente nullita' dei predetti contratti ex art. 23, d.lgs. n. 58/1998. Eccepiva inoltre la nullita' dei contratti in oggetto per l'enorme squilibrio sinallagmatico e la mancanza di una causa degna di tutela ex art. 1322, comma secondo c.c. nonche' per violazione dell'art. 24 lettera d) della legge n. 58/1998 o comunque ex art. 1344 per frode a tale disposizione, atteso che l'esercizio del diritto di recesso ad nutum, che dovrebbe competere ex lege all'investitore, pur formalmente previsto nel contratto, diventa impossibile o comunque eccessivamente oneroso, perche' si ricollega all'estinzione anticipata del mutuo. Eccepiva altresi' la nullita' dei contratti ex art. 1418 c.c. per mancanza e/o illiceita' della causa. Rilevava poi l'annullabilita' dei contratti de quibus per errore in relazione all'oggetto del contratto - atteso che da un lato non aveva compreso di stare sottoscrivendo sic et sempliciter un mutuo e dall'altro riteneva che la particolare forma di finanziamento era sottoposta a leggerissime penalita' in caso di recesso - e per dolo - atteso che la pubblicita' ingannevole del piano finanziario della banca, il tenore equivoco delle espressioni contrattuali e «l'opera persuasiva» tipica di qualunque promotore finanziario integravano i raggiri di cui all'art. 1439 c.c. Deduceva inoltre che, risolvendosi il piano «4 You» in una rischiosissima scommessa per il sottoscrittore, i debiti che ne scaturivano restavano sprovvisti dell'azione di pagamento ex art. 1933 c.c. Esponeva poi che dalla sottoscrizione dei contratti impugnati, oltre al danno ex art. 1224 c.c. (interessi legali ed eventuale maggior danno da far decorrere dalla lettera di reclamo e disdetta inviata dall'attrice), aveva subito un danno ulteriore: il suo nominativo era stato inserito alla Centrale Rischi della Banca d'Italia, con le seguenti conseguenze: all'inizio di ottobre 2004 l'attrice si era rivolta alla Banca Popolare di Bari filiale di Napoli per la concessione di un mutuo ipotecario necessario per ristrutturare il suo studio in Napoli alla via Ghiaia n. 142 per euro 550.000,00 e, nonostante il mutuo fosse stato stipulato celermente, l'erogazione era tardata poiche' la sede centrale della banca a Potenza aveva ravvisato la segnalazione suddetta, sicche' l'attrice aveva dovuto sottoscrivere una lettera giustificativa alla banca, che sblocco' l'erogazione solo in data 14 gennaio 2005, con rilevante danno alla sua immagine. Deduceva infine che l'operazione finanziaria in esame rappresentava un falso investimento, poiche' destinato ad avere un rendimento inesorabilmente negativo, laddove l'attrice, se non avesse aderito al piano «4 You», avrebbe potuto investire il proprio denaro altrove, ad esempio in titoli di Stato o obbligazioni, ottenendo sicuramente un reddito certo, seppure contenuto, sicche', considerato che la banca conosceva o comunque doveva conoscere la causa di invalidita' del negozio, la convenuta avrebbe dovuto risarcire ex art. 1338 c.c. il danno da mancato guadagno arrecato all'attrice, da parametrare quantomeno al rendimento di titoli tradizionali quali BOT e CCT. Concludeva quindi perche', nei confronti della S.p.A. M.P.S. Banca Personale e della S.p.A. Banca 121 Promozione Finanziaria, i dodici contratti in esame fossero dichiarati nulli, con i conseguenti obblighi restitutori a carico delle convenute delle rate di mutuo ed interessi gia' incassati pari a circa 100.000,00 euro, da gravare in favore dell'attrice di interessi legali e rivalutazione. In subordine chiedeva che i contratti de quibus fossero annullati, con condanna delle convenute alla restituzione delle rate di mutuo ed interessi gia' incassati, da gravare in favore dell'attrice di interessi legali e rivalutazione. Chiedeva inoltre la condanna delle banche a risarcire all'attrice i danni indicati ed in via ancora piu' subordinata chiedeva che fosse dichiarato che i debiti scaturenti dai contratti in oggetto erano soggetti alla disciplina dell'art. 1933 c.c. e per l'effetto che fossero dichiarate inesigibili le rate di mutuo scadute ed a scadere. Si costituiva la M.P.S. Banca Personale S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore premettendo che l'attrice aveva citato in giudizio la M.P.S. Banca Personale e la Banca 121 Promozione Finanziaria, che erano lo stesso istituto, atteso che la seconda aveva mutato la propria denominazione in M.P.S. Banca Personale a far data dal 3 gennaio 2005. Deduceva poi la convenuta che l'attrice non era una sprovveduta risparmiatrice in balia degli addetti della banca, atteso che era un affermato notaio, con conseguente capacita', superiori a quelle di altri clienti, di valutare la portata delle clausole contrattuali. Contestava nel resto la domanda attorea e concludeva per il rigetto della stessa. Notificata da parte convenuta all'attrice istanza di fissazione di udienza ex art. 8, d.lgs. n. 5/2003, il giudice relatore designato, con decreto del 26 luglio-4 agosto 2005, fissava l'udienza collegiale ai sensi dell'art. 12, decreto citato e provvedeva in ordine alle richieste istruttorie, indicando alle parti la questione rilevabile d'ufficio relativa all'incostituzionalita' del d.lgs. n. 5/2003. All'udienza collegiale del 5 ottobre 2005 il tribunale invitava le parti a depositare almeno dieci giorni prima dell'udienza del 9 novembre 2005, memorie conclusionali. All'udienza collegiale del 9 novembre 2005 il tribunale si riservava la decisione. Osserva in diritto Preliminarmente questo tribunale ritiene di sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001 con riferimento all'art. 76 della Costituzione nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado in materia societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare le scelte del legislatore delegato e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, nonche', in via subordinata, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003 in relazione all'art. 76 della Costituzione, perche' difformi dai principi e dai criteri direttivi dettati dalla legge di delega n. 366/2001. Ed invero, quanto alla non manifesta infondatezza della prima delle questioni di legittimita' costituzionale sopra indicate, si osserva che l'art. 12 della legge n. 366/2001 dispone: «Il Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che, senza modifiche della competenza per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti nelle seguenti materie: a) diritto societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali; b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. 2. - Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui al comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la mera facoltativita' della successiva instaurazione della causa di merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso all'esito di un procedimento sommario cautelare in relazione alle controversie nelle materie di cui al comma 1, con la conseguente definitivita' degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorche' gli stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalita' diverse; d) un giudizio sommario non cautelare, improntato a particolare celerita' ma con il rispetto del principio del contraddittorio, che conduca alla emanazione di un provvedimento esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato; e) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite; f) uno o piu' procedimenti camerali, anche mediante la modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile ed in estensione delle ipotesi attualmente previste che, senza compromettere la rapidita' di tali procedimenti, assicurino il rispetto dei principi del giusto processo; g) forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata dei diversi tipi di procedimento di cui alle lettere precedenti trattati dai tribunali, dalle Corti di appello e dalla Corte di cassazione». Cio' posto, si rileva che l'art. 76 della Costituzione stabilisce che l'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti. La migliore dottrina e la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale hanno da sempre interpretato tale norma nel senso che essa intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri dalle Camere al Governo, ma qualunque legge delegante che non operi una previa determinazione della portata e del tipo della disciplina delegata, cosicche' l'attivita' del Governo risulti sostanzialmente vincolata a realizzare con un circoscritto margine di scelte operative una serie di risultati gia' precostituiti da parte delle Camere, assolvendo in sostanza le norme delegate una funzione attuativa delle norme deleganti. Conseguentemente il legislatore ordinario deve stabilire principi e criteri cosi' specificati da far prevedere l'esito finale della delega, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita' ed indeterminatezza. Orbene, ritiene questo tribunale che nel caso in esame il Legislatore delegante non ha indicato con sufficiente determinazione i principi ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare il Legislatore delegato. Dal dettato dell'art. 12 legge n. 366/2001, infatti, - escludendo il riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che riguardano profili non rilevanti nel presente giudizio - sono estrapolabili i seguenti principi: 1) divieto di modifica della competenza per territorio e per materia; 2) necessita' di assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti; 3) possibilita' di dettare regole processuali che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modifica o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite. Nella legge n. 366/2001, quindi, il Legislatore si e' limitato ad indicare le materie nelle quali il governo sarebbe potuto intervenire, l'obiettivo di rendere piu' rapida ed efficace la definizione dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e per materia, la tendenziale collegialita' del procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti in sede di tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare regole che favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione del procedimento. Nulla tuttavia la legge delega ha detto in ordine allo schema processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale, ma all'arbitrio del Legislatore delegato, come emerge chiaramente dal decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, che ha creato un nuovo modello di processo. Ed infatti, come indicato dalla stessa relazione della commissione ministeriale, il nuovo rito societario previsto per il processo di cognizione davanti al tribunale costituisce un vero e proprio nuovo modello processuale, che si distacca volutamente sia dal modello processuale del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con la riforma del 1990. Il nuovo rito di cognizione di primo grado davanti al tribunale in materia societaria prevede tutta la prima fase del processo senza l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della comparsa di risposta e' fissato solo nel minimo, cosi' nella comparsa di risposta ai sensi dell'art. 4 il convenuto puo' a sua volta fissare all'attore per eventuale replica un termine stabilito ancora una volta solo nel minimo e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la possibilita' di una replica da parte dell'attore e l'art. 7 la possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora ulteriori repliche e controrepliche. Solo a seguito dell'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene il giudice in un momento pero' in cui sia il thema decidendum che il thema probandum si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi, del controllo del giudice. D'alta parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con gli effetti preclusivi rilevantissimi stabiliti dall'art. 10, e' uno strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di una sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di contumacia o di costituzione tardiva del convenuto, che introduce l'innovativo principio (di cui nella delega non vi e' traccia), per cui nel caso in cui il convenuto non notifichi la comparsa di risposta nel termine stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati dall'attore .... si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa». Emerge dunque chiaramente che il Legislatore delegato, in forza di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione di criteri direttivi, ha potuto creare una disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando quel rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile. Questo tribunale quindi ritiene che non possa andare esente da dubbi di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la creazione di un nuovo processo, seppur circoscritto a determinate materie, si limiti ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», un divieto di «modifica della competenza territoriale e per materia», una preferenza per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di conciliazione e un'indicazione di massima a favore della «concentrazione del procedimento e riduzione dei termini processuali». Di conseguenza ad avviso del Collegio, in quanto non manifestamente infondata, va rimessa la questione di costituzionalita' dell'art. 12 della legge n. 336/2001 nella parte relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003. La questione e' altresi' rilevante in quanto la presente controversia, rientrando tra quelle di cui alla lettera d) dell'art. 1 del decreto legislativo n. 5/2003, e' stata promossa e va trattata secondo le norme previste dal predetto decreto emanato in forza della suddetta legge di delega - disciplinante per l'appunto il giudizio di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale nelle materie di cui all'art. 1 del decreto citato e, come e' evidente, dalla pronunzia della Corte costituzionale dipende l'applicabilita' della intera nuova disciplina processuale alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo tribunale. In subordine, e per l'ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere costituzionalmente legittimo l'art. 12 della legge n. 366/2001, questo tribunale ritiene che non sia manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' degli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003 per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, in quanto emanati eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366 del 2001. Ed invero, per evitare il sospetto di incostituzionalita' per indeterminatezza e genericita' dell'art. 12, legge citata, dovrebbe necessariamente leggersi la legge n. 366/2001, come gia' fatto da altri giudici ordinari (cfr. ordinanza del Tribunale di Brescia del 18 ottobre 2004 che ha rimesso la questione alla Corte costituzionale), facendo riferimento alla disciplina del vigente processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro II, titolo I, c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche alle controversie societarie. La disciplina del processo di cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di procedura civile prevede che il processo si svolga attraverso la successione di piu' udienze fisse e obbligatorie, in particolare quella di prima comparizione (art. 180 c.p.c.) quindi la prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed eventualmente una seconda udienza, su richiesta delle parti, sempre per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma, seconda parte, c.p.c.) e quindi, all'esito, un'ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c.). Se si volesse individuare una determinatezza dei criteri direttivi nella legge di delega, quindi, dovrebbe necessariamente ritenersi che il Legislatore delegante, indicando il principio di «concentrazione del procedimento», abbia fatto evidentemente riferimento proprio alla suddetta scansione prevista nel processo ordinario. Ugualmente il processo ordinario vigente prevede che fra il giorno della notificazione e quello dell'udienza di comparizione debbano intercorrere termini liberi non minori di sessanta giorni, fissa il termine meramente ordinatorio di quindici giorni per la successione fra le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione c.p.c.), stabilisce ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un termine massimo di trenta giorni per il deposito di memorie e di altri trenta giorni per le repliche, non prestabilisce nessun termine per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c., primo comma, seconda parte, prevede il termine di sessanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di venti per eventuali repliche. Soltanto con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di contenuto la generica indicazione del Legislatore delegante del principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura - estremamente riduttiva e per questo sottoposta in via subordinata rispetto all'altra dei principi fissati dal Legislatore delegante, altrimenti invero generici, sarebbe possibile per evitare il dubbio di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001. E' pero' evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli artt. da 2 a 17, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con cui si e' data attuazione alla delega, contrasterebbe con i principi fissati dal Legislatore delegante per «eccesso di delega», alla luce delle caratteristiche del nuovo rito societario come gia' sopra sintetizzate. Il decreto legislativo n. 5/2003, infatti, non ha previsto un rito concentrato rispetto all'attuale rito ordinario disciplinato dagli artt. 163 ss. c.p.c., ma, come gia' sopra evidenziato, ha introdotto nell'ordinamento un'anticipazione del rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile. Anche la questione di costituzionalita' proposta in via subordinata e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse ragioni indicate per la questione proposta in via principale. Tanto premesso in fatto ed in diritto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione sulla questione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata, ed il presente giudizio va sospeso. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, di cui alla predetta norma.