IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta
al  n. 10470/2005  R.G.  tra dott. D'Anna Maria Luisa rappresentata e
difesa  dall'avv. prof. Settimio di Salvo presso cui e' elettivamente
domiciliata in Napoli, alla via Duomo n. 296, attrice, e M.P.S. Banca
Personale  S.p.A.  in  persona  del legale rappresentante pro tempore
rappresentata  e  difesa  dal  prof. avv. Francesco Carbonetti, dagli
avv. Roberto Della Vecchia e dall'avv. Raffaello Iorio presso il qual
ultimo  e'  elettivamente domiciliata in Napoli, alla Calata S. Marco
n. 13, convenuta.

                          Premesso in fatto

    Con citazione ritualmente notificata la dott. D'Anna Maria Luisa,
premesso  che  a  fine luglio  del  2001, dopo mesi di «pressioni» da
parte  di  Pierluigi Marrazzo, promotore finanziario della Banca 121,
si era decisa a sottoscrivere dodici contratti mediante i quali aveva
aderito  al  piano  finanziario  denominato  «4  You»  e  che,  nello
stipulare  i  contratti  suddetti,  era  stata convinta di acquistare
prodotti finanziari attraverso un pagamento dilazionato degli stessi,
come,  d'altro canto, le era stato descritto dal Marrazzo - che aveva
chiarito   che   si   trattava   di  un  investimento  con  un'ottima
remunerazione  e  comunque da poter dismettere in qualsiasi momento a
fronte  di  leggerissime penalita' - esponeva che dopo un anno circa,
sorpresa  del pessimo andamento del piano finanziario, si era rivolta
al  Marrazzo,  al quale aveva manifestato la sua volonta' di recedere
immediatamente  dai  contratti  de  quibus  e  che  solo allora aveva
appreso  che  il  finanziamento  previsto  al punto 1) delle premesse
contrattuali  era  strutturato  come  un  vero  e  proprio  mutuo per
sciogliersi  dal  quale  andavano pagate interamente le rate future e
comprensive di interessi da attualizzare al tasso IRS.
    Aggiungeva  l'attrice  di  aver formulato un reclamo per iscritto
alla  Banca  121 ed al Monte dei Paschi di Siena, che frattanto aveva
acquisito  la  prima, e di aver interrotto il pagamento delle rate di
mutuo,  ritenendo il contratto nullo o comunque annullabile. Deduceva
che  i contratti dalla stessa stipulati rappresentavano un'operazione
economica  che  poteva cosi' sintetizzarsi: con l'erogazione di mutui
di scopo trentennali, ciascuno per lire 89.824.300 al tasso del 7 per
cento,  la Banca acquista per conto del cliente una quota di un fondo
comune  d'investimento  mobiliare  appartenente al «Sistema Spazio» e
gestito  da  Spazio  Finanza  SGR  S.p.A.  e  dei  titoli  denominati
«Republic  of  Italy»  emessi  dalla  stessa  Banca;  tali  strumenti
finanziari vengono pero' contestualmente costituiti in pegno a favore
della  Banca  121  a garanzia della restituzione delle somme mutuate.
Esponeva  l'attrice  che,  nonostante all'art. 5 della sezione IV del
contratto  (accusa di ricezione da parte del cliente) aveva attestato
di  aver  ricevuto  «un  esemplare  del  contratto  comprensivo degli
allegati  debitamente  sottoscritto  per accettazione», non aveva mai
ricevuto  gli  allegati  de  quibus e che aveva in suo possesso copie
parziali  dei contratti stessi, con conseguente nullita' dei predetti
contratti ex art. 23, d.lgs. n. 58/1998.
    Eccepiva  inoltre  la  nullita'  dei  contratti  in  oggetto  per
l'enorme  squilibrio  sinallagmatico e la mancanza di una causa degna
di  tutela  ex  art. 1322,  comma secondo c.c. nonche' per violazione
dell'art. 24   lettera  d)  della  legge  n. 58/1998  o  comunque  ex
art. 1344  per  frode a tale disposizione, atteso che l'esercizio del
diritto   di  recesso  ad  nutum,  che  dovrebbe  competere  ex  lege
all'investitore,  pur  formalmente  previsto  nel  contratto, diventa
impossibile  o  comunque eccessivamente oneroso, perche' si ricollega
all'estinzione  anticipata  del  mutuo. Eccepiva altresi' la nullita'
dei  contratti  ex  art. 1418  c.c. per mancanza e/o illiceita' della
causa.  Rilevava  poi  l'annullabilita'  dei  contratti de quibus per
errore in relazione all'oggetto del contratto - atteso che da un lato
non  aveva  compreso  di  stare  sottoscrivendo sic et sempliciter un
mutuo e dall'altro riteneva che la particolare forma di finanziamento
era  sottoposta  a  leggerissime penalita' in caso di recesso - e per
dolo  -  atteso  che la pubblicita' ingannevole del piano finanziario
della  banca,  il  tenore  equivoco  delle espressioni contrattuali e
«l'opera   persuasiva»  tipica  di  qualunque  promotore  finanziario
integravano i raggiri di cui all'art. 1439 c.c.
    Deduceva  inoltre  che,  risolvendosi  il  piano «4  You»  in una
rischiosissima  scommessa  per  il  sottoscrittore,  i  debiti che ne
scaturivano   restavano   sprovvisti   dell'azione  di  pagamento  ex
art. 1933  c.c.  Esponeva  poi che dalla sottoscrizione dei contratti
impugnati,  oltre  al  danno  ex  art. 1224 c.c. (interessi legali ed
eventuale  maggior  danno da far decorrere dalla lettera di reclamo e
disdetta  inviata  dall'attrice), aveva subito un danno ulteriore: il
suo  nominativo  era  stato inserito alla Centrale Rischi della Banca
d'Italia,  con  le  seguenti  conseguenze: all'inizio di ottobre 2004
l'attrice  si  era  rivolta  alla  Banca  Popolare di Bari filiale di
Napoli  per  la  concessione  di  un  mutuo ipotecario necessario per
ristrutturare il suo studio in Napoli alla via Ghiaia n. 142 per euro
550.000,00  e,  nonostante il mutuo fosse stato stipulato celermente,
l'erogazione  era  tardata  poiche'  la  sede  centrale della banca a
Potenza  aveva  ravvisato la segnalazione suddetta, sicche' l'attrice
aveva dovuto sottoscrivere una lettera giustificativa alla banca, che
sblocco'  l'erogazione  solo  in  data 14 gennaio 2005, con rilevante
danno alla sua immagine.
    Deduceva   infine   che   l'operazione   finanziaria   in   esame
rappresentava  un  falso  investimento, poiche' destinato ad avere un
rendimento inesorabilmente negativo, laddove l'attrice, se non avesse
aderito  al piano «4 You», avrebbe potuto investire il proprio denaro
altrove,  ad  esempio  in  titoli  di Stato o obbligazioni, ottenendo
sicuramente un reddito certo, seppure contenuto, sicche', considerato
che  la  banca  conosceva  o  comunque  doveva  conoscere la causa di
invalidita'  del  negozio,  la  convenuta avrebbe dovuto risarcire ex
art. 1338  c.c. il danno da mancato guadagno arrecato all'attrice, da
parametrare quantomeno al rendimento di titoli tradizionali quali BOT
e CCT.  Concludeva  quindi perche', nei confronti della S.p.A. M.P.S.
Banca  Personale  e  della S.p.A. Banca 121 Promozione Finanziaria, i
dodici contratti in esame fossero dichiarati nulli, con i conseguenti
obblighi  restitutori a carico delle convenute delle rate di mutuo ed
interessi  gia' incassati pari a circa 100.000,00 euro, da gravare in
favore dell'attrice di interessi legali e rivalutazione. In subordine
chiedeva  che  i  contratti de quibus fossero annullati, con condanna
delle  convenute  alla  restituzione delle rate di mutuo ed interessi
gia' incassati, da gravare in favore dell'attrice di interessi legali
e rivalutazione.
    Chiedeva inoltre la condanna delle banche a risarcire all'attrice
i danni indicati ed in via ancora piu' subordinata chiedeva che fosse
dichiarato  che  i  debiti  scaturenti dai contratti in oggetto erano
soggetti  alla  disciplina  dell'art. 1933  c.c.  e per l'effetto che
fossero dichiarate inesigibili le rate di mutuo scadute ed a scadere.
    Si  costituiva  la  M.P.S. Banca Personale S.p.A., in persona del
legale  rappresentante  pro  tempore  premettendo che l'attrice aveva
citato  in  giudizio  la  M.P.S.  Banca  Personale  e  la  Banca  121
Promozione  Finanziaria,  che erano lo stesso istituto, atteso che la
seconda  aveva  mutato  la  propria  denominazione  in  M.P.S.  Banca
Personale  a  far  data dal 3 gennaio 2005. Deduceva poi la convenuta
che  l'attrice  non era una sprovveduta risparmiatrice in balia degli
addetti  della  banca,  atteso  che  era  un  affermato  notaio,  con
conseguente  capacita',  superiori  a  quelle  di  altri  clienti, di
valutare la portata delle clausole contrattuali. Contestava nel resto
la  domanda  attorea  e  concludeva  per  il  rigetto  della  stessa.
Notificata  da  parte  convenuta all'attrice istanza di fissazione di
udienza  ex  art. 8, d.lgs. n. 5/2003, il giudice relatore designato,
con decreto del 26 luglio-4 agosto 2005, fissava l'udienza collegiale
ai  sensi  dell'art. 12,  decreto  citato e provvedeva in ordine alle
richieste  istruttorie,  indicando alle parti la questione rilevabile
d'ufficio  relativa  all'incostituzionalita'  del  d.lgs.  n. 5/2003.
All'udienza  collegiale  del  5 ottobre 2005 il tribunale invitava le
parti  a  depositare  almeno  dieci  giorni  prima dell'udienza del 9
novembre 2005, memorie conclusionali.
    All'udienza  collegiale  del  9  novembre  2005  il  tribunale si
riservava la decisione.

                         Osserva in diritto

    Preliminarmente   questo   tribunale   ritiene  di  sollevare  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 12 della legge
n. 366/2001  con  riferimento  all'art. 76  della  Costituzione nella
parte  in  cui,  in relazione al giudizio ordinario di primo grado in
materia  societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi che
avrebbero  dovuto  guidare  le scelte del legislatore delegato e, per
derivazione,  degli  articoli  da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5
del 17 gennaio 2003, nonche', in via subordinata, degli articoli da 2
a  17  del  decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003 in relazione
all'art. 76  della  Costituzione, perche' difformi dai principi e dai
criteri direttivi dettati dalla legge di delega n. 366/2001.
    Ed  invero,  quanto  alla  non manifesta infondatezza della prima
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale sopra indicate, si
osserva che l'art. 12 della legge n. 366/2001 dispone: «Il Governo e'
inoltre   delegato  ad  emanare  norme  che,  senza  modifiche  della
competenza  per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare
una  piu'  rapida  ed  efficace  definizione  di  procedimenti  nelle
seguenti materie:
        a) diritto  societario,  comprese le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
        b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo
24  febbraio  1998,  n. 58,  e  successive modificazioni, e dal testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto
legislativo 10 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni.
    2.  - Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui
al  comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che
in particolare possano prevedere:
        a) la  concentrazione  del  procedimento  e  la riduzione dei
termini processuali;
        b) l'attribuzione  di  tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
        c)  la  mera  facoltativita'  della  successiva instaurazione
della  causa  di  merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
        d) un   giudizio   sommario   non   cautelare,  improntato  a
particolare   celerita'   ma   con  il  rispetto  del  principio  del
contraddittorio,  che  conduca  alla  emanazione  di un provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato;
        e) la  possibilita'  per  il  giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
        f) uno  o  piu'  procedimenti  camerali,  anche  mediante  la
modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile
ed  in  estensione  delle  ipotesi  attualmente  previste  che, senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
        g) forme  di comunicazione periodica dei tempi medi di durata
dei  diversi  tipi  di  procedimento  di  cui alle lettere precedenti
trattati  dai  tribunali,  dalle  Corti  di  appello e dalla Corte di
cassazione».
    Cio' posto, si rileva che l'art. 76 della Costituzione stabilisce
che  l'esercizio  della funzione legislativa non puo' essere delegato
al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi
e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti.
    La  migliore  dottrina  e  la  stessa  giurisprudenza della Corte
costituzionale  hanno da sempre interpretato tale norma nel senso che
essa  intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri dalle
Camere  al  Governo,  ma  qualunque legge delegante che non operi una
previa  determinazione  della  portata  e  del  tipo della disciplina
delegata,  cosicche'  l'attivita' del Governo risulti sostanzialmente
vincolata   a  realizzare  con  un  circoscritto  margine  di  scelte
operative  una  serie  di risultati gia' precostituiti da parte delle
Camere,  assolvendo  in  sostanza  le  norme  delegate  una  funzione
attuativa delle norme deleganti.
    Conseguentemente il legislatore ordinario deve stabilire principi
e  criteri  cosi'  specificati  da far prevedere l'esito finale della
delega, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita'
ed indeterminatezza.
    Orbene,  ritiene  questo  tribunale  che  nel  caso  in  esame il
Legislatore  delegante non ha indicato con sufficiente determinazione
i  principi  ed  i  criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare il
Legislatore delegato.
    Dal dettato dell'art. 12 legge n. 366/2001, infatti, - escludendo
il  riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che
riguardano  profili  non  rilevanti  nel  presente  giudizio  -  sono
estrapolabili  i  seguenti  principi:  1)  divieto  di modifica della
competenza  per territorio e per materia; 2) necessita' di assicurare
una   piu'   rapida  ed  efficace  definizione  di  procedimenti;  3)
possibilita' di dettare regole processuali che in particolare possano
prevedere:  a)  la concentrazione del procedimento e la riduzione dei
termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle
materie  di  cui  al comma 1 al tribunale in composizione collegiale,
salvo  ipotesi  eccezionali di giudizio monocratico in considerazione
della  natura  degli  interessi  coinvolti; c) la possibilita' per il
giudice   di  operare  un  tentativo  preliminare  di  conciliazione,
suggerendone   espressamente   gli  elementi  essenziali,  assegnando
eventualmente  un  termine  per la modifica o la rinnovazione di atti
negoziali  su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione,
tenendo  successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto
dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite.
    Nella legge n. 366/2001, quindi, il Legislatore si e' limitato ad
indicare   le   materie   nelle   quali  il  governo  sarebbe  potuto
intervenire,  l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida  ed  efficace la
definizione  dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza
per  territorio  e  per  materia,  la  tendenziale  collegialita' del
procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti
in  sede  di  tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare
regole  che  favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione
del procedimento.
    Nulla  tuttavia  la  legge  delega ha detto in ordine allo schema
processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale,
ma all'arbitrio del Legislatore delegato, come emerge chiaramente dal
decreto  legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, che ha creato un nuovo
modello di processo.
    Ed   infatti,   come   indicato   dalla  stessa  relazione  della
commissione  ministeriale,  il  nuovo rito societario previsto per il
processo  di  cognizione  davanti  al tribunale costituisce un vero e
proprio  nuovo  modello  processuale, che si distacca volutamente sia
dal  modello  processuale  del  1942,  sia da quello del processo del
lavoro  del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con la riforma
del  1990.  Il  nuovo  rito  di  cognizione di primo grado davanti al
tribunale  in  materia  societaria  prevede  tutta  la prima fase del
processo  senza  l'intervento  del giudice; nell'atto di citazione ai
sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed
il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della
comparsa di risposta e' fissato solo nel minimo, cosi' nella comparsa
di  risposta  ai  sensi  dell'art. 4  il  convenuto  puo' a sua volta
fissare  all'attore per eventuale replica un termine stabilito ancora
una volta solo nel minimo e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede
la  possibilita'  di  una  replica da parte dell'attore e l'art. 7 la
possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora
ulteriori  repliche  e controrepliche. Solo a seguito dell'istanza di
fissazione  di  udienza di cui all'art. 8 interviene il giudice in un
momento  pero'  in cui sia il thema decidendum che il thema probandum
si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi,
del controllo del giudice.
    D'alta  parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con gli
effetti  preclusivi  rilevantissimi  stabiliti  dall'art. 10,  e' uno
strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di
una  sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento
ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di
contumacia  o  di  costituzione  tardiva del convenuto, che introduce
l'innovativo  principio  (di cui nella delega non vi e' traccia), per
cui  nel  caso  in  cui  il  convenuto  non  notifichi la comparsa di
risposta   nel   termine   stabilito  o  anche  solo  si  costituisca
tardivamente  «i  fatti  affermati  dall'attore .... si intendono non
contestati   e  il  tribunale  decide  sulla  domanda  in  base  alla
concludenza di questa».
    Emerge  dunque  chiaramente che il Legislatore delegato, in forza
di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione
di  criteri  direttivi,  ha  potuto creare una disciplina interamente
nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando
quel  rito  ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione
ministeriale per la riforma del processo civile.
    Questo  tribunale  quindi  ritiene che non possa andare esente da
dubbi  di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la
creazione  di  un  nuovo  processo, seppur circoscritto a determinate
materie,  si  limiti  ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare
una  piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», un divieto
di  «modifica  della  competenza  territoriale  e  per  materia», una
preferenza  per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di
conciliazione   e   un'indicazione   di   massima   a   favore  della
«concentrazione    del   procedimento   e   riduzione   dei   termini
processuali».
    Di   conseguenza   ad   avviso   del   Collegio,  in  quanto  non
manifestamente    infondata,    va    rimessa    la    questione   di
costituzionalita'  dell'art. 12  della  legge n. 336/2001 nella parte
relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione,
degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003.
    La   questione  e'  altresi'  rilevante  in  quanto  la  presente
controversia,   rientrando   tra   quelle   di  cui  alla  lettera d)
dell'art. 1 del decreto legislativo n. 5/2003, e' stata promossa e va
trattata  secondo  le  norme previste dal predetto decreto emanato in
forza della suddetta legge di delega - disciplinante per l'appunto il
giudizio  di  cognizione  di  primo  grado  davanti  al  tribunale in
composizione  collegiale  nelle materie di cui all'art. 1 del decreto
citato   e,   come   e'   evidente,   dalla   pronunzia  della  Corte
costituzionale dipende l'applicabilita' della intera nuova disciplina
processuale  alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo
tribunale.
    In  subordine,  e  per l'ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere
costituzionalmente   legittimo  l'art. 12  della  legge  n. 366/2001,
questo  tribunale  ritiene  che  non  sia manifestamente infondato il
dubbio  di  costituzionalita'  degli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003
per  contrasto  con  l'art. 76  della Costituzione, in quanto emanati
eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366
del 2001.
    Ed  invero,  per  evitare  il sospetto di incostituzionalita' per
indeterminatezza  e  genericita' dell'art. 12, legge citata, dovrebbe
necessariamente  leggersi  la  legge  n. 366/2001, come gia' fatto da
altri  giudici  ordinari (cfr. ordinanza del Tribunale di Brescia del
18   ottobre   2004   che   ha   rimesso   la  questione  alla  Corte
costituzionale),  facendo  riferimento  alla  disciplina  del vigente
processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro
II,  titolo  I, c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e'
stato applicato anche alle controversie societarie. La disciplina del
processo  di  cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di
procedura  civile  prevede  che  il  processo si svolga attraverso la
successione  di  piu'  udienze  fisse  e obbligatorie, in particolare
quella  di  prima  comparizione  (art. 180  c.p.c.)  quindi  la prima
udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza
per  la  discussione  e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed
eventualmente  una  seconda udienza, su richiesta delle parti, sempre
per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma,
seconda  parte,  c.p.c.) e quindi, all'esito, un'ulteriore udienza di
precisazione  delle  conclusioni  (art. 189  c.p.c.).  Se  si volesse
individuare  una  determinatezza dei criteri direttivi nella legge di
delega, quindi, dovrebbe necessariamente ritenersi che il Legislatore
delegante,    indicando   il   principio   di   «concentrazione   del
procedimento»,  abbia  fatto  evidentemente  riferimento proprio alla
suddetta scansione prevista nel processo ordinario.
    Ugualmente  il  processo  ordinario  vigente  prevede  che fra il
giorno  della  notificazione  e  quello  dell'udienza di comparizione
debbano  intercorrere  termini  liberi non minori di sessanta giorni,
fissa  il  termine  meramente  ordinatorio  di quindici giorni per la
successione  fra  le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione
c.p.c.),  stabilisce  ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un
termine  massimo  di  trenta  giorni  per il deposito di memorie e di
altri trenta giorni per le repliche, non prestabilisce nessun termine
per  il  deposito delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c., primo
comma,  seconda  parte,  prevede il termine di sessanta giorni per il
deposito  delle  comparse  conclusionali  e  di  venti  per eventuali
repliche.
    Soltanto  con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di
contenuto  la  generica  indicazione  del  Legislatore  delegante del
principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura
-  estremamente  riduttiva e per questo sottoposta in via subordinata
rispetto  all'altra  dei  principi fissati dal Legislatore delegante,
altrimenti  invero  generici, sarebbe possibile per evitare il dubbio
di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001.
    E' pero' evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli
artt.  da  2  a  17, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con cui si e' data
attuazione  alla  delega,  contrasterebbe  con i principi fissati dal
Legislatore  delegante  per  «eccesso  di  delega»,  alla  luce delle
caratteristiche   del   nuovo   rito   societario   come  gia'  sopra
sintetizzate.
    Il  decreto  legislativo  n. 5/2003,  infatti, non ha previsto un
rito  concentrato  rispetto  all'attuale  rito ordinario disciplinato
dagli  artt. 163  ss.  c.p.c.,  ma,  come  gia' sopra evidenziato, ha
introdotto   nell'ordinamento  un'anticipazione  del  rito  ordinario
prefigurato  dal  testo redatto dalla commissione ministeriale per la
riforma del processo civile.
    Anche   la   questione   di  costituzionalita'  proposta  in  via
subordinata  e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse
ragioni indicate per la questione proposta in via principale.
    Tanto  premesso  in  fatto  ed  in diritto, ai sensi dell'art. 23
della  legge  11 marzo 1953, n. 87, va disposta la trasmissione degli
atti  alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione sulla questione
pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non
manifestamente  infondata,  ed  il presente giudizio va sospeso. Alla
cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, di cui alla
predetta norma.